T R I B U N A L E D E I D I R I T T
I D E I P U B B L I C I
D I P E N D E N T I D E L L A
L O M B A R D I A
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Il Tri.Di.Pu.Di. |
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IL LIBRO DEL CORAGGIO |
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336 pagine contro la disonestà di certi
magistrati |
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CALOGERO SANFILIPPO
Già Comandante della Polizia Locale di Lecco Delegato SOSUTENTI
–
Associazione in Difesa dei Consumatori Rappresentante legale degli utenti
della strada
LA LEGGE È UGUALE PER TUTTI
MA PER ALCUNI È PIÙ UGUALE
Il diritto è la più efficace scuola
della fantasia; mai poeta ha interpretato
la natura così liberamente come un giurista la
realtà (Jean Giraudoux)
*********
Non basta essere innocenti per non avere paura
dei giudici (Bernard Shaw)
*********
DEDICATO ALLA REGINA DELLA CALUNNIA ANTONELLA
MELESI, AL SUO PRINCIPE
CONSORTE, SOST. COMMISSARIO DI P.S. DANTE
RUSSO E A QUEI MAGISTRATI CHE LI HANNO RISPARMIATI
All’interno tutti i nominativi
con le rispettive qualifiche - nessun nome di fantasia
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A tutto c’è un limite che solo Dio può valicare e il magistrato non è
Dio, anche se crede di esserlo e si comporta come se lo fosse.
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DEDICA SPECIALE Al lettore con
simpatia e stima e con l’augurio di non incappare mai nella disonestà di
certi magistrati giustizieri, come molti di quelli ospitati nella
presente cronaca, che ignobilmente si sono serviti della loro funzione
per vendetta, megalomania o sete di potere.
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Il delirio di onnipotenza di cui godono molti magistrati non sempre paga
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INTRODUZIONE Il presente trattato è
conseguenziale al volume “La calunnia può uccidere in una giustizia
orribilmente sporca” già pubblicato dall’autore, per cui si rende
necessaria la presente introduzione, che ne riassume sinteticamente ma
in maniera esaustiva il contenuto, al fine di garantirne la continuità
per una migliore comprensione del lettore, al quale lo stesso viene
offerto in omaggio ove richiesto all’autore. Tutto è originato quando
Sanfilippo ricopriva la qualifica di Comandante della Polizia Municipale
a Lecco con l’assunzione del Vigile Urbano Antonella Melesi rivelatasi
una pazza mitomane. Raccomandata di ferro per la sua appartenenza
politica a quella setta malefica di Comunione e Liberazione del Sindaco
Giulio Boscagli, cognato di Formigoni, costei incominciò a flirtare con
l’Ispettore di P.S. Dante Russo, per cui passava le ore di servizio con
quest’ultimo al Commissariato anziché sulla strada. L’intervento
disciplinare del Comandante con il contestuale coinvolgimento del
Commissario di P.S. si rivelò indigesto ai due piccioni che non poterono
più tubare durante l’orario di servizio all’interno del Commissariato.
Sanfilippo, di contro, era inviso al Sindaco ciellino e al Vice Sindaco
socialista, perché mai si era piegato alla disonestà della loro
politica, al punto che li aveva denunciati entrambi come si rileva dal
seguente stralcio di stampa.
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Era inevitabile, quindi, che Sindaco e Vice Sindaco si adoprassero
per attivare attraverso la Melesi e la segretaria del Vice Sindaco un
meccanismo che ha visto Sanfilippo processato e condannato per aver
fatto scrivere una lettera privata di 20 righe da un vigile. Nel
dibattimento contro Sanfilippo si era distinta particolarmente la
Melesi, alla quale non era sembrato vero potersi vendicare di
quell’amoreggiamento che il suo Comandante aveva interrotto e nel
contempo vendicare il Sindaco. Sanfilippo, però, dopo alcuni anni
era venuto a conoscenza che la Melesi, oltre alle dichiarazioni rese in
dibattimento contro il proprio Comandante, era andata ben oltre, posto
che, addirittura in pendenza di causa, accompagnata dal marito Dante,
era andata a trovare il Pubblico Ministero Giuseppina Barbara e le aveva
somministrato a carico di Sanfilippo fatti di una gravità tale che
costei disonestamente ha nascosto con gli “omissis” anziché procedere a
loro carico per calunnia. Per comprendere la gravità del
comportamento dei coniugi Melesi/Russo basti citare due esempi
emblematici: mentre Dante faceva trasmettere al P.M. una relazione di
servizio stilata da due poliziotti a lui sottoposti, Rodolfo Ratti e
Giuseppe Cantini, in cui veniva evidenziato che il Comandante Sanfilippo
con l’auto di servizio guidata dai vigili in divisa mandava le donne a
Milano per abortire, la Melesi, che si è guadagnata sul campo il titolo
di “regina della calunnia”, tra le tante lordure, era arrivata persino a
dichiarare al P.M. che il proprio Comandante le aveva confidato di
gestire un bordello a Milano dove esponeva sul banco di vendita anche la
moglie all’epoca minorenne, dichiarazione che il GIP Gianmarco De
Vincenzi, dissacrando il codice di procedura penale, con altrettanta
disonestà, ha archiviato perché, secondo lui, verteva su fatti la cui
rilevanza atteneva alla sfera etica, non implicando profili di incidenza
penale. Proprio lui, che, per avere la docenza all’università, vox
populi, aveva dovuto portare la moglie nel letto del Magnifico Rettore.
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Nel primo volume l’autore per diritto di cronaca aveva pubblicato un
atto processuale, peraltro non suo, in cui si leggeva che la Melesi era
stata adescata dal Vice Questore Schipilliti di cui Russo era il
pupillo, per cui quest’ultimo, venutone a conoscenza, in un primo
momento s’era tenuto lo smacco (rectius le corna) ma successivamente,
per effetto delle corna che pungevano, alla DIGOS di Brescia aveva
dichiarato di aver ricevuto confidenze negative sull’acquisto della
villa di Carimate del prefato Vice Questore mentre la moglie Antonella
aveva dichiarato che Schipilliti era affiliato alla ndrangheta. E
poiché Sanfilippo in calce a tali dichiarazioni si era limitato ad
evidenziare che “purtroppo i cornuti quando si incattiviscono diventano
pericolosi”, è stato querelato da Dante Russo. Da qui il titolo dei
primi due capitoli del presente volume (La querela del cornuto e La
vendetta fallita del cornuto). Va precisato, per amor del vero, che
l’appellativo di cornuto riferito al Sostituto Commissario di P.S. Dante
Russo non glielo ha dato Sanfilippo, bensì se l’è attribuito da solo e
il Pubblico Ministero Silvia Perrucci gli ha dato una mano, nel senso
che ha voluto che cornuto egli lo fosse veramente, ritenendo questa
l’unica strategia processuale per chiedere ed ottenere la condanna di
Sanfilippo per diffamazione. Per il resto: BUONA LETTURA
L’AUTORE Dott. Calogero Sanfilippo
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PREFAZIONE DELL’AUTORE
L’autore non ha dubbi
che il lettore nel titolo colga l’ironia, posto che, a fronte di quanto
sbandierato nelle aule di giustizia, non v’è chi non sappia che, invece,
LA LEGGE NON È UGUALE PER TUTTI; ed allora perché
dimostrare un assioma così notorio, una verità così incontestabile,
esponendosi alla reazione di chi è in preda al delirio di onnipotenza?
La risposta è semplice, l’autore ritiene che ne vale proprio la
pena, vuoi perché coraggio, onestà e preparazione professionale di cui
egli è dotato non temono reazioni di sorta e vuoi perché ritiene giusto
che la disonestà (professionale ovviamente) di certi magistrati venga
portata al pubblico ludibrio, almeno quando costoro oltrepassano il
limite della decenza, anche se spesso interviene il CSM a farli cadere
in piedi. Ecco, quindi, che, a fronte dei motivi che hanno suggerito
la pubblicazione del presente volume, lo scopo è quello di portare alla
cognizione del lettore atti processuali autentici, edificati da alcuni
magistrati non all’insegna del libero convincimento ma della disonestà
e/o dell’ignoranza, integrati per i non esperti di diritto processuale
penale da brevi chiarimenti dell’autore, dai quali si evince per
esperienza diretta come la legge non sia uguale per tutti. Il trattato
consta di cinque capitoli e il contenuto è il seguente. IL
PRIMO CAPITOLO (La querela del cornuto) tratta la vicenda
processuale relativa alla querela di Dante Russo contro Sanfilippo, che
nel primo volume aveva pubblicato l’adescamento della moglie da parte
del Vice Questore Schipilliti, significando che mentre i magistrati di
Lecco avevano archiviato il processo a carico della Melesi per calunnia,
quelli di Como, invece, hanno condannato Sanfilippo per diffamazione a
mezzo stampa, proprio perché la legge è stata più uguale per la coppia
Melesi/Russo. Il
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capitolo è suggestivo, posto che la memoria difensiva di Sanfilippo è
un magnifico trattato sul presunto cornuto. IL SECONDO
CAPITOLO (La vendetta fallita del cornuto) riguarda una
eccezionale vicenda processuale edificata in danno di Sanfilippo: il
Sostituto Commissario Dante Russo, ammanigliato al P.M. Luca Masini
(detto “il suino” forse per le sue sembianze), sposato ad una ispettrice
di polizia sottoposta a Russo, nell’ambito di una indagine antimafia, ha
portato la foto segnaletica di Sanfilippo a Milano per farsi dire dal
pentito Giuseppe Di Bella che Sanfilippo era stato un comandante
corrotto, sottovalutando, entrambi da gran coglioni, che il reato oltre
che impossibile era anche prescritto. Sanfilippo ha fatto archiviare il
procedimento, ha denunciato Russo, Masini e Di Bella ma, poiché la legge
è più uguale anche per costoro, nessuno è stato condannato.
IL TERZO CAPITOLO (giustizia dei giudici di pace una e trina)
riguarda la giustizia dei giudici di pace, splendida categoria onoraria,
esempio di umanità, onestà, legalità e correttezza, che nulla ha a che
vedere con la disonestà di certi togati. Sanfilippo, quale delegato
della SOS UTENTI – Difesa consumatori a tutela degli automobilisti in
tutto il territorio nazionale, esprime ammirazione e rispetto per questa
nobile categoria, che purtroppo viene guardata dall’alto in basso da
certa magistratura togata in preda al delirio di onnipotenza. Purtroppo
la giustizia dei giudici di pace ha un solo difetto, quello di essere
economicamente inappellabile e, quindi, una e trina. Tuttavia le regole
hanno le eccezioni, per cui il capitolo contiene alcuni esposti al CSM e
al Ministro della Giustizia a carico di giudici di pace che hanno
dissacrato sia il codice della strada che la procedura. In
particolare, trattasi di due esposti a carico del Giudice di Pace di
Fidenza (ora a Piacenza), Maria Cristina Ferraresi, un esposto a carico
del Giudice di Pace di Trieste, Stefania Bernieri Di Lucca, cinque
esposti a carico del Giudice di Pace di Missaglia (ora a Lecco), Guido
Alberto Bagalà,
un esposto a carico
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del Presidente del Tribunale di Lecco, Ersilio Secchi e un esposto a
carico del Presidente della Corte d’Appello di Milano, Giovanni Canzio
(ora 1° Presidente della Suprema Corte di Cassazione); esposti inviati
tutti al CSM, al Ministro della Giustizia e, per conoscenza, anche agli
interessati, ma senza alcun risultato, stante il famoso brocardo “ma per
alcuni la legge è più uguale”. Gli esposti sono così eloquenti da non
richiedere nessuna didascalia. IL QUARTO CAPITOLO
(Procedimento protetto dalla Pubblica Accusa) riguarda un
esposto a carico di due sottufficiali della GdF presentato da Sanfilippo
nell’agosto 2012 alla Procura della Repubblica di Lecco, la quale lo ha
archiviato irritualmente (l’esponente non era stato avvisato) dopo tre
anni e mezzo e non di propria iniziativa ma sol perché è stata inoltrata
da Sanfilippo istanza di avocazione alla Procura Generale della
Repubblica. A causa della irritualità dell’archiviazione, Sanfilippo non
solo ha interposto ricorso per cassazione per fare riaprire le indagini,
ma ha denunciato il postino per falso. Il capitolo è ricco di sorprese,
dal momento che sarà disturbata anche la Commissione Europea dei Diritti
dell’Uomo a Strasburgo. IL QUINTO CAPITOLO (giudice De
Vincenzi e P.M. Dal Monte – la vergogna). De Vincenzi e Dal
Monte, due magistrati a Lecco, uno più disonesto dell’altra. De Vincenzi
come marito ha seviziato la moglie avvocato e come giudice tutelare, in
combutta con l’avvocatessa Tatiana Balbiani amministratrice di sostegno
e sua concubina per vox populi, ha aggredito il patrimonio di un povero
invalido deceduto, per cui la prima Sezione penale del Tribunale di
Brescia lo ha condannato a otto mesi di reclusione per abuso d’ufficio
insieme all’avvocatessa (si può essere più ignobili?). Paola Dal Monte,
pubblico ministero a Lecco, trasferitasi a Parma, dove ha fatto
arrestare il Comandante della Polizia Municipale, gli ha fatto dare le
dimissioni per liberare il posto, dopodiché ha fatto presentare domanda
al marito Alberto Cigliano, dirigente di polizia nella Provincia di
Bergamo, per il passaggio diretto di personale tra amministrazioni
diverse per diventare comandante del Corpo di polizia municipale di
Parma al posto di quel povero cristo che aveva fatto arrestare (si può
essere più diabolici oltre che disonesti?).
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DEDICO il presente trattato di mala giustizia
ai coniugi Melesi Antonella e Dante Russo (soggetti
dediti al male e alla calunnia), ai P.M. Giuseppina Barbara
e Paola Dal Monte (magistrati di spiccata disonestà
professionale), al Giudice Gianmarco De Vincenzi
(colui che alla spiccata disonestà professionale ha aggiunto di aver
seviziato la moglie e, come giudice tutelare, in combutta con
l’avvocatessa amministratrice di sostegno e sua concubina, Tatiana
Balbiani, di avere aggredito il patrimonio di un invalido,
beccandosi una condanna ad otto mesi di reclusione) e ai
numerosi magistrati citati in entrambi i volumi PERCHÈ ANTONELLA E
DANTE con le loro turpi azioni e dichiarazioni calunniose hanno
consentito la pubblicazione di entrambi i volumi. BARBARA,
DAL MONTE e DE VINCENZI in ordine alle accuse calunniose di
Antonella e Dante, anziché procedere a loro carico, si sono adoprati (la
Barbara addirittura ha nascosto le loro dichiarazioni con gli “omissis”)
per la condanna del calunniato, comportandosi come il cacciatore che
spara al cane e fa fuggire la lepre. I NUMEROSI ALTRI
MAGISTRATI con i loro atti negativi mi hanno insegnato a non
aver fiducia nella giustizia. Costoro, nella loro imbecillità, non
hanno avuto l’intelligenza di capire che con il loro ignobile
comportamento avrebbero fatto la mia fortuna.
Dott. Calogero Sanfilippo
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Pag. 114 Per comprendere appieno il valore degli
interrogatori del pregiudicato, pentito e collaboratore di giustizia
Giuseppe Di Bella, detto Pippo, nonché il grado di disonestà raggiunto
dal magistrato Luca Masini, detto “il suino”, e dal Sostituto
Commissario di Polizia di Stato Dante Russo, detto il cornuto per avere
offerto la moglie al suo capo facendo lo gnorri, onde evitare che il
lettore rimanga impantanato in fatti che non conosce, salvo che non
abbia letto il primo volume “La calunnia può uccidere”, appare
necessario un breve chiarimento in merito. Sanfilippo nel 2000 aveva
scoperto di essere stato calunniato nel 1993 da Antonella Melesi, moglie
di Dante Russo, con dichiarazioni gravissime tanto inverosimili ed
assurde che il P.M. di allora Giuseppina Barbara con estrema disonestà
professionale aveva nascosto con gli “omissis”. Il 5 ottobre 2000
Sanfilippo aveva querelato la Melesi e due poliziotti, Rudy Ratti e
Giuseppe Cantini, giannizzeri di Russo, che, pedissequamente, avevano
fatto eco alla Melesi con altrettanti asserzioni calunniose. Costoro non
erano stati processati perché appartenevano a quei soggetti per i quali
la legge è più uguale. Il 27/12/2002, però, Dante Russo, avendone
l’opportunità in quanto ammanigliato al P.M. Luca Masini per via della
moglie di quest’ultimo, Ispettrice di Polizia, sottoposta al Russo
gerarchicamente ma sovrapposta al suino che normalmente cornificava e
comandava a bacchetta (tira più un pelo di donna in salita che quattro
buoi in discesa), ha deciso di vendicare la moglie e i due giannizzeri,
per cui ha ritenuto di portare in visione al collaboratore di giustizia
Giuseppe Di Bella la foto segnaletica di Sanfilippo per fargli
dichiarare di avergli dato un milione di lire per poter aprire
anticipatamente il proprio bar senza rischi di multe. Il gioco era
sembrato facile ai prefati mascalzoni, proprio perché a quell’epoca
pendeva una maxi-inchiesta alla Procura Antimafia di Milano,
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Pagina 311 e 312 Non sfugga al lettore che si
discute di quella Suprema Corte che ha avuto nel suo seno l’emerito
presidente Antonio Esposito, che Così infangava Berlusconi
dopo che l'aveva condannato Antonio Esposito parlò di
presunte gare erotiche del premier con due deputate del Pdl e anticipò
la condanna di Vanna Marchi che emise due giorni dopo
Il
presidente della sezione feriale della Cassazione Antonio Esposito
Colui che ha messo al mondo cotanto figlio
Condannato a due anni il figlio del giudice
che condannò Berlusconi di Antonio Marras mercoledì 6
luglio 2016
È stato condannato a 2 anni e 4 mesi l’ex pm di
Milano Ferdinando Esposito, figlio del giudice
Antonio Esposito, presidente del collegio che ha condannato
Silvio Berlusconi nel processo Mediaset nel 2013. L’udienza del
processo, con rito abbreviato, si è celebrata in mattinata al Tribunale
di Brescia. Ferdinando Esposito era accusato di aver tentato di indurre
l’avvocato Michele Morenghi e una dirigente immobiliare a sottoscrivere
un contratto di affitto fasullo della propria abitazione attraverso una
società
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facente capo ai due, per farsi pagare illegittimamente l’affitto di
casa. Esposito ha risposto anche dell’accusa di induzione nei confronti
di un commercialista al fine di ottenere un prestito di denaro,
allettandolo con la possibilità di presentargli magistrati che potessero
poi affidargli incarichi come consulente. Sanfilippo annota:
delitti di tal guisa non possono essere ideati da delinquenti comuni ma
solo da intelligenze eccezionali e chi meglio di un magistrato, la cui
intelligenza è superiore a chiunque, può arrivare a tanto? Nemmeno il
più ladro dei politici riuscirebbe ad architettarla così bene. Qui
stride il “chiunque” del codice penale, perché idioti che pretendono il
canone solo in virtù di un contratto senza dare in locazione
l’appartamento si possono trovare, non tra i “chiunque”, ma solo tra i
magistrati, si badi bene, non magistrati comuni ma dotati di
intelligenza superiore specie se allevati nella scuola e sotto la guida
di cotanto padre. ************** Nel terzo capitolo Sanfilippo ha
denunciato per firma falsa il Presidente della Corte di Appello di
Milano, Giovanni Canzio, salito dopo pochi giorni al sacro soglio di
Primo Presidente della Corte di Cassazione; è possibile che Giovanni
Canzio, appena insediatosi, abbia detto ai suoi presidenti di sezione
una frase di questo tipo: esiste a Lecco uno scrotoclasta di nome
Calogero Sanfilippo, che ha avuto il coraggio di denunciarmi, se vi
capita fregatelo. Tutto è possibile in una Repubblica democratica
fondata (giovi ripeterlo) non più sul lavoro ma sulla disonestà, dove la
sovranità non appartiene al popolo, ma alla disonestà di chi la
esercita. Se non è così, buon per lui, andrà in Paradiso, ma se è vero
l’unica punizione non può essere che quella dell’Inferno. Lo sapremo
nell’aldilà.
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Pagine 318 – 319 – 320 – 321 PAOLA DAL MONTE TRASFERITASI
A PARMA Il Senatore Barani del pdl ha presentato al
Guardasigilli un'interrogazione a risposta scritta riguardante l'arresto
dell'ex comandante della Polizia Municipale, Giovanni Maria Jacobazzi,
coinvolto nello scandalo Green Money 2. Il dirigente viene arrestato il
24 giugno per corruzione e peculato e presenta immediatamente le
dimissioni irrevocabili dall'incarico. La richiesta di custodia
cautelare era stata presentata al gip il 24 marzo. Il 10 giugno il
marito della dottoressa Paola Dal Monte, Alberto Cigliano, fa domanda
per passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse per
diventare comandante del Corpo di polizia municipale di Parma.
Attualmente, Cigliano è dirigente di polizia nella Provincia di Bergamo.
***************** Il deputato Barani ritiene le dimissioni di
Jacobazzi "del tutto prevedibili e scontate a seguito della misura
cautelare inflittagli" perché il dirigente, che ora è ai domiciliari,
avrebbe lasciato l'incarico anche per dimostrare che non sussisteva più
il pericolo di reiterare i reati. "Appare all'interrogante sussistere un
interesse del magistrato in questione a che il marito vinca la selezione
per poter sostanzialmente lavorare nella stessa città ove tuttora
risiedono - scrive il deputato nell'interrogazione - occorre valutare se
questa situazione è stata rappresentata dal pubblico ministero
dottoressa Dal Monte, che ha continuato ad occuparsi delle indagini, al
procuratore della Repubblica dottor Gerardo La Guardia, e se, comunque,
anche solo sul piano dell'opportunità il pubblico ministero in oggetto
avesse il dovere di chiedere di essere sostituita da altro pubblico
ministero dello stesso ufficio per ragioni di grave convenienza".
Conclude quindi chiedendo al Ministero della Giustizia se non intenda
inviare ispettori. ****************** Il primo round ufficiale
della battaglia giudiziaria tra il procuratore capo di Parma,
Gerardo Laguardia, e il senatore del Pdl Filippo
Berselli, lo vince il parlamentare berlusconiano. Dopo nove
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interrogazioni parlamentari del senatore, la Procura di
Ancona ha indagato per abuso d’ufficio il
procuratore Laguardia e la pm Paola Dal Monte, nel
mirino per il lavoro nelle recenti inchieste che hanno riguardato la
città, e in particolare per Green Money 2, che ha
portato alla caduta della giunta di Pietro Vignali.
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Sanfilippo annota: trattasi di motivazione che fa
soltanto schifo, se si considera che quando i magistrati si devono
proteggere l’un con l’altro trovano l’escamotage del “nesso
causale”, diavoleria inventata ad hoc in offesa alla comune
intelligenza anche di chi è digiuno di diritto processuale penale.
Chiunque è in grado di stigmatizzare la motivazione del P.M. di Ancona
Irene Bilotta.
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In pratica il P.M. di Ancona, per salvare la collega, ha impostato il
seguente sillogismo: la Dal Monte aveva sì l’obbligo di astenersi per
l’interesse personale all’assegnazione del posto di comandante al
marito, ma l’omessa astensione avrebbe costituito reato solo se ci fosse
stato un “nesso causale” con l’ingiustizia del danno
subito da Jacobazzi”; e poiché questo nesso causale, che, si badi bene,
potrebbe anche esserci, al momento non si intravede, in quanto sarà
valutato solo all’esito del procedimento penale a carico di Jacobazzi,
dovendo perciò per l’accertamento del quale attendere le valutazioni dei
giudici di merito di quel processo, allo stato si impone l’archiviazione
del procedimento a carico della Dal Monte. Il sillogismo è il tipo di
ragionamento proprio della logica aristotelica, per cui viene da
chiedersi se Aristotele non si sarebbe rivoltato nella tomba. Ma v’è
di più, a questo punto un comune mortale si aspetta che il P.M. di
Ancona si riservi di chiedere l’archiviazione del procedimento a carico
della Dal Monte solo all’esito di quell’altro procedimento e non prima;
ed ancora, posto che la Dal Monte si sarebbe dovuta astenere comunque,
perché, ad archiviazione ottenuta, non si è astenuta allorquando
Jacobazzi con l’opposizione all’archiviazione l’ha incalzata
ulteriormente ad astenersi? La morale: ti dovevi
astenere, però io ti perdono perché manca il nesso causale e fino a
quando non salta fuori, continua pure a curare l’interesse di tuo marito
in danno del povero Jacobazzi che tanto ormai lo hai costretto a
dimettersi con la promessa dell’alleggerimento della misura cautelare (è
una astuzia vecchia). Vero è che quel nesso causale non arriverà mai
e, se dovesse emergere, non servirebbe più ad incriminare la Dal Monte,
posto che il procedimento a suo carico è stato ormai archiviato.
Sanfilippo lo sa, perché ha conosciuto la disonestà della Dal Monte
quando era a Lecco, ma è certo che al lettore non dispiacerebbe sapere
cosa avrebbe fatto il P.M. Paola Dal Monte se l’obbligo di astenersi
fosse stato in capo a qualsiasi funzionario sottoposto alle sue
indagini; glielo dice Sanfilippo, lo avrebbe distrutto. Un risultato
però la giustizia lo ha ottenuto, posto che il marito della Dal Monte
era tanto ignorante che non ha superato la selezione.
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Pagina 325
Nessun problema, perché De Vincenzi negli altri
due gradi di giudizio troverà qualche collega più disonesto di lui che lo
assolverà. E che dire del giudice del lavoro del Tribunale di Lecco Giovanni
Gatto, che ha guidato per più di tre anni con la patente scaduta di validità?
A costui, da buon magistrato, deve essere sfuggito che esiste l’art. 126 del
codice della strada e che in caso di incidente l’art. 144 del codice delle
assicurazioni prevede il diritto di rivalsa dell’assicuratore ovvero il recupero
delle somme versate a favore dei terzi danneggiati.
IL LIBRO DEL CORAGGIO
336 pagine contro la disonestà di certi magistrati
Per l’acquisto del volume su Amazon clicca qui
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